mercoledì 25 maggio 2011

A spasso con Tata Hedia...

Tata Hedia è una tunisina normale. Madre senza portafoglio (perché lo gestisce il marito) di cinque figli. Tata Hedia ha una ciste al seno e ha deciso di farsi curare. Incolume dopo aver superato le prime peripezie, è riuscita ad ottenere un appuntamento per fare la biospia e prelevare un campione di tessuto per capire di che natura sia la sua ciste. L’appuntamento era previsto per stamattina, esattamente alle nove.
Dopo una notte insonne, di buona lena, al mattino, Tata Hedia si incammina verso l’ospedale pubblico, digiuna. Nonostante abbia fissato tutti gli appuntamenti, Tata Hedia viene spedita da 18 impiegati diversi (contati uno ad uno), tra infermieri, medici e portantini dislocati nei primi tre piani del padiglione di radiologia. Fa la fila per pagare. Tre file diverse per tre differenti analisi. Chi piange, chi grida, chi litiga, chi si lamenta, miriadi di persone, soprattutto donne che compostamente aspettano il loro turno, ignorando che forse non arriverà mai, almeno per oggi.

Dopo aver pagato, come da prassi, Tata Hedia si dirige al primo piano del padiglione di radiologia per poter fare il tracciato. Alle dieci, spera che il medico sia arrivato per togliersi il pensiero il prima possibile. Tata Hedia entra nel reparto e apprende che il macchinario per fare il tracciato è rotto. ‘Rotto?’ ‘Sì signora, rotto da venerdì, l’addetto alla manutenzione è in ferie, annulli le analisi di oggi, si faccia rimborsare e vada a fare il tracciato privatamente alla clinica Ibn Zohr.’
Tata Hedia impiega più di un’ora per farsi rimborsare le analisi e capire cosa fare. Non avendo altre soluzioni, Tata Hedia telefona alla clinica Ibn Zohr e le riferiscono che il primo appuntamento utile puó essere fissato tra non meno di due settimane. ‘Uff’, si dice Tata Hedia che forse è malata e che a mezzogiorno è ancora a digiuno. Tata Hedia aspetta mezz’ora seduta sulle scale sporche dell’ospedale e poi prova a chiamare un medico che, privatamente, potrebbe fare il tracciato per l’operazione direttamente nel suo ambulatorio e rilasciarle il risultato che Tata Hedia consegnerebbe all’ospedale per fare l’operazione. Così prende un taxi nell’ora di punta, in una Tunisi bloccata, accaldata e inquinata. Tata Hedia arriva all’ambulatorio, come sempre aspetta. Entra dal medico che puó fare il tracciato ma, purtroppo, non accetta la mammografia dell’ospedale. Lui si fida solo della clinica privata Ibn Zohr nella quale lavora quindi consiglia a Tata Hedia di andare lì direttamente. ‘Uff’, si dice Tata Hedia. Allora prende un altro taxi e arriva alla clinica privata Ibn Zohr. Aspetta ancora per prendere solo l’appuntamento per fissare la data in cui farà il tracciato ma il dottore non è ancora arrivato o forse si nasconde da qualche parte. Tata Hedia non lo ha ben capito perchè anche nella clinica privata, dove cioè si paga quasi ogni respiro, le infermiere sono confuse come nell’ospedale pubblico. Tata Hedia aspetta sulla sedia traballante della clinica privata. Nel frattempo, si sentono le grida di una donna che, piangendo, cammina sorretta da altre due. La seguono due bambini che forse sono ancora ignari di aver appena perso il padre.
Strana storia la vita, Tata Hedia apprende che oggi anche nella clinica privata il macchinario per fare il tracciato è in panne, meno male che lei deve solo prendere appuntamento. Dopo quarantacinque minuti, l’infermiera le fissa un appuntamento, il sette giugno. É l’una e un quarto. Tata Hedia è uscita di casa alle nove di mattina a digiuno. Forse è malata. Oggi non ha concluso nulla. Non importa a nessuno. Se ne riparla tra due settimane.

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