sabato 9 luglio 2011

un Michè impiccato in un CPT…

Era un pomeriggio d’estate, non avevo ancora vent’anni e lui era già morto da un po’ anche se io forse non lo sapevo nemmeno. Era un periodo in cui stavo prendendo coscienza del mondo e uscivo dal mio autismo congenito. Faceva caldo e mi ero tuffata sul lettone a una piazza e mezza della stanza accanto. La finestra era aperta e vedevo in lontananza gli alberi del convitto. Brizio aveva uno stereo che io ancora non sapevo usare. Accanto a quell’aggeggio c’erano tante cassette un po’ polverose e duplicate alla buona tra le quali cominciai a frugare alla rinfusa. Ne scelsi una con la custodia scritta da una calligrafia ordinata e pulita, familiare come quella di mio zio.

Tac, si chiude lo sportellino e il nastro comincia a girare, la voce di quell’uomo sconosciuto mi risveglia. Impostata, profonda, sensuale. Lui mi comincia a parlare e io lo ascolto. Dopo qualche canzone quella voce mi scuote. È il momento di un pezzo dalla musica quasi allegra e divertente, sarà che la fisarmonica in sottofondo mi fa pensare a nonno Nello ma è il contenuto a scioccarmi. Sfiora la mia sensibilità e mi fa sciogliere. È così che mi sono innamorata di quell’uomo mai incontrato.

E adesso che Michè si ritrova impiccato in un ‘CPT’ sorrido. Mi dico che sì, non posso farci proprio niente, tutto torna. La mia sensibilità era stata ferita da quel Michè impiccato in un carcere in cui era finito quasi per caso così come ancora adesso mi feriscono le notizie di quei tanti che si ritrovano prigionieri in un ‘CPT’ per colpa dello stesso caso.

Grazie a Mauro Biani, vignettista intelligente, per aver collocato quello stesso Michè in un ‘CPT’ nel libro che raccoglie le quindici cartoline di una mostra itinerante di successo e che sono ispirate ad altrettante canzoni di Fabrizio De André. Come una specie di sorriso.


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