lunedì 23 luglio 2012

E terra e polvere che tira vento e poi magari piove...

A pensarci bene, il campo di Choucha non ha niente di strano. Come ogni campo profughi è immerso nella polvere e perso nel nulla. In una realtà asettica e lontana. E i 2.800 (circa) sfollati africani scappati dalla guerra in Libia che ancora ci vivono, semplicemente aspettano.
Che le giornate scorrano, che il vento cessi di alzare quel fastidioso misto di sabbia e polvere e che qualcuno, preferibilmente di qualche organizzazione internazionale, gli vada a dire che saranno trasferiti in America, Spagna o chissà dove per iniziare una nuova vita. Nel frattempo, peró, bisogna vivere e ci si deve ingegnare per tirare a campare.

E allora scopri che il camp manager con l’aria un pochettino stupita, ti confessa che le donne del Darfur sono quelle che puliscono meglio- sarà che una casa canonicamente intesa non ce l’hanno mai avuta- ti viene da pensare. E che, nonostante non possano lavorare, gli sfollati, in maggioranza giovani uomini, sono perfettamente inseriti nel tessuto economico della cittadina di frontiera più vicina, la piccola Ben Guerdane (proprio al confine con la Libia) dove regnano forti il contrabbando e quei traffici loschi tipici delle zone di frontiera. Nella piazzetta principale, spiccano le loro facce lucide nero pece che, senza ansia, aspettano, ancora una volta, che qualcuno gli dia qualcosa da fare, seppur per un giorno. E cosí, al campo, si è creata un’economia informale con un’area adibita a negozio gestita dagli stessi ospiti del campo. C’è chi ha allestito il suo chiosco per vendere le sigarette, chi ha messo in piedi un caffé e chi un ristorante dove gli sfollati possono rilassarsi e investire il tempo che gli resta e il denaro che hanno guadagnato in giornata. D’integrazione con la popolazione tunisina di Ben Guerdane, ovviamente, non se ne parla proprio. Dopo il lavoro, si rientra al campo e si resta cosí, messi lí, ad aspettare la sera…

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