martedì 1 ottobre 2013

Dove può portare l'amore per l'arabo. Lui è Eugenio e ci incrociammo svariati anni fa.


- Luxor, 2004 -
A volte le scelte di vita nascono da episodi quasi casuali, da folgorazioni improvvise che travolgono piani e progetti fatti in precedenza. O almeno, così è successo a Eugenio Malatacca, 32enne di San Giorgio a Cremano – paese del napoletano, noto per aver dato i natali a Massimo Troisi – che oggi lavora per un tour operator a Dubai: “Ci occupiamo di servizi incoming: turismo, ma anche servizi per businessmen come hotel, trasporti, interpreti e tutto quello che serve”. Prima era stato in Tunisia ed Egitto per studio, poi in Siria. Eppure Eugenio si vedeva come psichiatra, finché non è stato folgorato dalla passione per l'arabo.
Quindi tutto nasce dall'amore per una lingua?
Sì, dall'amore inaspettato verso l'arabo. Ho assistito alla prima lezione del corso quasi per curiosità, il professore ha disegnato alla lavagna l'alif che è la prima lettera dell'abjad, l'alfabeto arabo, e nel disegno mi si è aperto un mondo. Ogni lettera che disegnava apriva nella mia mente un universo nuovo e inesplorato. E così l'arabo è diventata la mia passione, il passatempo della mia vita e il mio lavoro. E' entrato nella mia mente, negli atteggiamenti, nei movimenti, ha trasformato il mio italiano, arricchendolo di significati, di parole, sfumature, mi ha avvicinato alla poesia e alle differenti scale musicali. Per me ora la lingua araba è naturale: penso in arabo, sogno in arabo.
Che studi hai seguito dopo questa scoperta?
Studi comparatistici all'Orientale di Napoli. Un corso di laurea che permetteva di studiare in parallelo due lingue, nel mio caso arabo e inglese, e letterature quadriennali alle quali ho aggiunto poi lingua e letteratura urdu, l'idioma parlato in Pakistan. Il corso di studi comprendeva anche esami di filologia, storia, studi etnologici, geografici e politici. Nel 2005, una settimana dopo la laurea, grazie a una borsa di studio per l'approfondimento linguistico, sono partito per la Siria. La borsa copriva tre mesi, poi ho trovato un lavoro a Damasco in una multinazionale del turismo. Praticavo la lingua e inconsapevolmente mi costruivo il lavoro del futuro.
Di cosa ti occupavi?
Il proprietario ha intuito che adoravo viaggiare e immediatamente mi ha spedito ad esplorare tutti gli uffici della società: Giordania, Libano, Libia, Yemen e Oman. In pratica dovevo creare percorsi alternativi, conoscere gli hotel, creare pacchetti e soluzioni: stavo diventando un business developer e non lo sapevo. Ero sempre in viaggio e ne approfittavo per studiare i dialetti locali, un'esperienza così bella che mi sentivo in colpa ad essere pagato!
Dal punto di vista dell'integrazione?
Problemi, shock culturale, pregiudizi? L'integrazione non è mai stata un problema per me, mi sono sempre sentito a casa. In Libia addirittura avevo quotidiani déjà vu. Appena arrivato a Tripoli, sono rimasto un'ora solo ad ammirare il mare e tutto mi sembrava così familiare: il dialetto, la gente, le strade... L'arabo libico è infarcito di parole e costruzioni italiane. Alla fine mi sento più expat quando sono in Italia.
Quindi vivere in un Paese musulmano non è difficile come si potrebbe pensare?
No. Almeno non per me. Non mi sono mai sentito in difficoltà. Forse il mio essere esterofilo mi ha aiutato, ma ho sempre vissuto tutto con emozione, con volontà di apprendimento ed adattamento. Per me la cultura araba ha rappresentato più un'aggiunta, qualcosa che mi ha arricchito e ha aperto diversi orizzonti. Qualche grado in più nella rotazione della testa.
Come italiano, qualche vantaggio o svantaggio particolare?
Per la verità io venivo sempre scambiato per siriano o per libanese, però l'Italia, o meglio l'immagine dell'Italia, è sempre stata un sogno. Avevo tantissimi amici che studiavano italiano solo per amore linguistico o per poterla visitare un giorno e a Damasco aprivano boutiques italiane, i ragazzi indossavano le divise della nazionale azzurra o delle squadre italiane di calcio. Un anno Bab Tuma, il quartiere cristiano, venne chiamata Bab Roma per quanti italiani c'erano e tutti nel suq parlavano la nostra lingua.
Saresti rimasto in Siria, se avessi potuto?
Decisamente e tornerei domani se me lo chiedessero. Mi vengono i brividi a pensare oggi alla Siria e ai quartieri di Damasco. Nella mia mente e nella mia anima conservo gli odori di ogni singola spezia, i sapori, i visi, gli scorci e so che non potrò più farli miei.
E invece, nel 2009 sei andato via.
Sì, ma inizialmente è stata una scelta lavorativa. Dovevo essere il punto di riferimento per l'Italia della società per cui lavoravo. Facevo la spola tra Italia e Medio Oriente e rientravo in Siria almeno una volta al mese. La tua casa dov'era? Quella che sentivi come casa. Ogni Paese che mi ospita lo sento come casa. Ma Damasco mi accoglieva, mi coccolava; così come Beirut. Forse solo Amman la sentivo più ostile, perché meno pura, nel senso di meno araba.
E poi cosa è successo?
La situazione politica in Siria, così come in Libia, è peggiorata. Il Paese che conoscevo non esisteva più. Allora ho lasciato tutto e mi sono licenziato e immediatamente mi è stata offerta la possibilità di trasferirmi a Dubai per lavorare per una compagnia che si occupa di incoming. L'idea degli Emirati arabi non mi è mai piaciuta tanto, li ho sempre visti come un parco di divertimenti che poco combaciava con la mia idea di Paese arabo, ma ho accettato.
Non hai preso in considerazione la possibilità di tornare in Italia?
No. Lì vedo tutto difficile, non saprei proprio cosa fare, come propormi. Immagino solo gli ostacoli che mi si presenterebbero per una qualsiasi iniziativa, mentre qui è facilissimo contattare chiunque, muoversi, creare. L'Italia fa di tutto per fare allontanare i suoi cittadini e alla fine tutti noi cerchiamo l'Italia all'estero. Non sai quanto mi amareggia pensare che il nostro Paese potrebbe vivere di solo turismo, potrebbe essere il nostro petrolio. Abbiamo mare, montagne, laghi, fiumi, ma nessuno fa nulla. L'Italia è sinonimo di cibo, moda, musica, ma sta diventando il contrario di se stessa: uno stivale vecchio, da buttare.
C'è qualcosa che davvero ti manca dell'Italia?
La mia famiglia, passeggiare tra il mare e la città, la colazione al mattino nei bar del centro, le cene nelle taverne, la bellezza dei nostri paesaggi e dei nostri paesini. Ma non mi manca la gente: gli italiani la stanno distruggendo, viviamo dei ricordi di un Paese che non è più.
Ti trovi bene a Dubai?
Diciamo di sì. E' un Paese sicuro, si lavora tanto, trovi di tutto. Però mi manca passeggiare in ambienti naturali, vedere chiese e castelli. Non credo che resterò qui a lungo.
Quale sarà la prossima tappa?
Medito. Sudafrica, Costa Rica, Lussemburgo. O magari New York o San Francisco.
E l'arabo?
Sono profondamente deluso dagli arabi. In questi due anni di primavere, che poi sono aspri inverni e crudeli autunni, ho visto un popolo incapace. Stanno nascendo tanti estremismi, non vedo più la voglia di cultura e la genuinità della cultura araba.
Un amore finito?
Forse. O forse solo voglia di aggiungere qualche altro grado alla mia visuale.
Tornerai in Italia?
Ci penso spesso. Mi piacerebbe rappresentare il mio Paese, far conoscere a chi visita l'Italia, fare qualcosa di mio a modo mio. In fondo sono otto anni che promuovo altri Paesi.
A volte in amore bisogna saper fare anche il primo passo.
Se la persona amata è ancora viva.

Ecco l'intervista completa:

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