In Libano non bastava la presenza dei rifugiati palestinesi, siriani ed
iracheni, delle miriadi di lavoratori migranti provenienti dall'Asia e
dall'Africa, dei sunniti, degli sciiti, dei cristiani maroniti o dei
falangisti, di Sabra e Chatila, della guerra civile, di Hezbollah e
dell'avanzata dell'ISIS. Da qualche tempo, in tutto il Paese, è comparsa una
nuova categoria umana a cui trovare un ruolo ed uno spazio, come a tutti
gli altri. Si tratta dei PRS- Palestine Refugees from Syria, i rifugiati
palestinesi provenienti dalla Siria.
Vivevano
in Siria, disclocati anche lì in una serie di campi profughi che li ospitavano, compreso il campo di Yarmouk, nella periferia sud di Damasco, assediato lo scorso gennaio dall'esercito di Assad, che considerava ribelli o loro fiancheggiatori o non obbedienti al regime, i palestinesi che vi risiedevano. I PRS hanno cominciato ad entrare in Libano
nel 2012, poco dopo l'inizio dell'emergenza siriana, intorno al mese di marzo fino al giugno
dell'anno successivo, il 2013. Circa 50.000 persone sono riuscite ad attraversare la frontiera con il Libano e il governo libanese gli aveva concesso, in un primo momento, un
permesso di soggiorno temporaneo di un anno, rinnovabile per un mese. Una volta giunti in Libano, hanno trovato ospitalità nei campi profughi palestinesi presenti in tutto il Paese. Nel
settembre del 2013, però, il governo libanese ha deciso che i PRS non avrebbero più potuto essere accolti nel Paese dei cedri e, come se non bastasse, il loro permesso di soggiorno non sarebbe più potuto essere esteso. Pertanto le scelte erano, e restano, due: o una volta scaduto il permesso, i PRS rimangono in
Libano senza documenti legali, ossia illegalmente, o cercano di tornare in Siria. Attualmente, più del 90 per cento di loro non
ha un permesso di soggiorno valido. Ma, ammesso che vogliano rientrare nel Paese di Assad, i PRS devono pagare duecento dollari per ogni persona e, ad oggi, il campo di Yarmouk, in cui la maggior parte di loro
risiedeva, è ancora bloccato e, altrove, non ci sono più "tetti di fortuna" sotto i quali potersi riparare.
In più, l'unica agenzia della Nazioni Unite che si occupa dei palestinesi, siano essi provenienti dalla Siria o "residenti" in Libano (PRL), continua ad essere UNRWA (The United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees in the Near East) che, essenzialmente, tra gli altri servizi, offre assistenza economica, prima
ogni tre mesi, adesso ogni mese, ma, in base a dei criteri di selezione appositamente
individuati, circa il 50 per cento
dei rifugiati provenienti dalla Siria viene escluso dagli aiuti.
E adesso che il loro permesso di soggiorno è scaduto e quindi sono
diventati illegali, i PRS non hanno più nemmeno libertà di movimento, e, per paura,
lasciano anche il lavoro che hanno, nel caso in cui ne abbiano uno. Inoltre, la
qualità dei servizi offerti da UNRWA è notevolmente peggiorata dato che la
stessa quantità di aiuti adesso deve includere un maggior numero di persone, i
palestinesi residenti in Libano (PRL) e quelli provenienti dalla Siria (PRS).
Attualmente, la maggior parte di questi ultimi vive a Saida, Sidone, nel sud
del Paese, ospitata nel campo profughi di Ain Al-Helwa in cui la situazione si fa sempre
più tesa...
Date le suddette premesse, viene spontaneo chiedersi: "che ne sarà di loro?"
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